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Coach K, l’ascesa di una leggenda e la sua eredità

Mike Krzyzewski Coach K Duke
Autore: Isabella Agostinelli
Data: 13 Lug, 2020

Duke oggi sarebbe forse una squadra come tante altre se non fosse per Michael Krzyzewski. Coach K non è un semplice allenatore: è un vero e proprio fenomeno, tanto che ha bisogno della sola lettera iniziale del suo cognome per essere riconosciuto. All’età di 73 anni e dopo 40 anni sulla panchina di Duke, per Coach K la stagione 2020-2021 potrebbe essere davvero l’ultima in quanto finirà anche il suo contratto che lo lega a Durham. Certo, se volesse rimanere, nessuno lo manderebbe via, ma gli analisti stanno già guardando con curiosità a chi potrebbe essere il suo successore. Prima di addentrarci in dettaglio nel “toto-sostituto”, cerchiamo di capire come questo allenatore abbia raggiunto uno status a dir poco leggendario ripercorrendo i capitoli principali della sua carriera attraverso le sue frasi più note.

“Non mi vedo come un allenatore di basket. Mi vedo come un leader a cui è capitato di diventare allenatore.”

Mick – come lo chiamano i suoi amici – è nato e cresciuto a Chicago, nell’Ukranian Village, un quartiere dove lo sport è tutto per il ragazzo ma niente per i suoi genitori. William ed Emily sono infatti troppo impegnati a lavorare per stare dietro a queste frivolezze. William, di origini polacche, ha appena aperto un bar dopo 25 anni come un ascensorista presso la Willoughby Tower, mentre Emily si divide tra il lavoro come donna delle pulizie al Chicago Athletic Club e la cameriera. Non hanno né tempo né il denaro per stare dietro agli allenamenti, agli allenatori o all’uniforme del figlio. Per di più, la scuola elementare del quartiere, la Saint Helen, non ha neppure una palestra. Così, quando Mick e i suoi compagni si rivolgono al direttore per potersi iscrivere alla Catholic Youth Organization Basketball League, la richiesta cade nel vuoto. Ma il giovane Krzyzewski non si dà per vinto e da solo mette insieme la squadra nominandosi allenatore-giocatore. Sì, a soli 11 anni, già mostra quelle doti da leader che lo avrebbero portato alla Hall of Fame del basket. Ma all’epoca nessuno se ne rende conto. Per i suoi amici, è solo uno spilungone polacco “abbastanza” bravo nel basket, che sogna di fare il wrestler professionista o il cantante dei Temptations.

Coach K con mamma Emily

“La stagione è come un viaggio: devi viverla insieme, condividerla e far sì che ognuno migliori grazie all’altro.”

La sua formazione passa per la Archbishop Weber, una scuola cattolica per soli maschi dove Mike si mette in luce come buon giocatore di basket e ottimo studente.  La svolta arriva durante un capo estivo dove incontra Bobby Knight. Il coach 25enne rimane colpito da Krzyzewski e, in un bar davanti ad un sandwich, gli chiede di andare a giocare per lui a West Point all’Accademia Militare. Mike rifiuta la proposta: il suo sogno è di giocare nella Big Ten e la carriera militare non lo attira troppo. Ma il padre non è dello stesso avviso. Dopo poche settimane, il ragazzo cede. L’impatto all’accademia militare non è facile e durante il primo anno spesso Krzyzewski pensa di mollare. Ma il basket lo aiuta: pur non eccellendo mai statisticamente, grazie a Bobby impara a ricercare l’eccellenza, sviluppa una grande voglia di vincere e impara ad affrontare il dolore della sconfitta. Nel suo ultimo anno, dopo la sua ultima sfida in carriera contro gli acerrimi rivali della Navy, gli viene regalato il pallone della gara, ma poche ore dopo riceve una telefonata da Chicago: sua padre William è appena morto per un ictus cerebrale. Knight lo accompagna a casa restando con lui per tre giorni, semplicemente standogli vicino.

Krzyzewski e Knight ai tempi di West Point

“Nel nostro programma, l’onestà è la base di tutto ciò che facciamo.”

Dopo una stagione ad Indiana a fianco del suo mentore e cinque stagioni da capo allenatore presso la sua Alma Mater, il 18 marzo 1980, con la presentazione alla stampa, inizia ufficialmente la sua storia con Duke. Dopo tre anni assai sotto tono, il 1985 è l’anno della svolta: non solo arriva la tanto agognata qualificazione al Torneo, ma il 19 gennaio c’è anche la prima vittoria contro North Carolina a Chapel Hill dopo un’attesa che durava dal 1967. Da lì in poi è una cavalcata trionfale. Nel 1986 i Blue Devils arrivano alla loro prima Final Fuor e l’entusiasmo intorno alla squadra diventa così grande che nasce il fenomeno del Krzyzewskiville: gli studenti, pur di accaparrassi un biglietto per il big match contro North Carolina, iniziano ad accamparsi mesi e mesi prima davanti al Cameron Indoor Stadium. Negli anni successivi, Duke si ritaglia però fallisce il bersaglio maggiore: nelle stagioni ’88, ’89 e ’90 arriva infatti sempre al Gran Ballo, ma perde la scarpetta proprio nel momento più importante. L’anno della consacrazione è il 1991, con l’arrivo di Grant Hill che rimane così colpito dall’onestà di Coach K che lo preferisce a coach Dean Smith e a North Carolina. In una finale rasente alla perfezione, i Blue Devils superano per 72-65 Kansas e portano a Durham il primo titolo NCAA. Il secondo arriva subito l’anno dopo: Duke prima supera Kentucky per 104-103 in una partita che ancora oggi è considerata tra le più belle del college basketball, e poi vince facile contro Michigan per 71-51.

 

“Una squadra assomiglia alle cinque dita della mano. Se le metti insieme, hai un pugno: è così che si deve giocare.”

Con le vittorie arrivano anche i riconoscimenti: nel 1989, Coach K vince il prestigioso Naismith College Coach of the Year. Nel 1994, Grant Hill e Cherokee Parks trascinano la squadra sino alla finale NCAA, persa con Arkansas. Durante l’estate Krzyzewski deve farsi però operare alla schiena per un’ernia. Per la prima volta in vita sua deve abbandonare la squadra e le conseguenze sono nefaste: sotto la guida del vice Paul Gaudet, arrivano solo 4 vittorie a fronte di 15 sconfitte e Duke non prende parte al Torneo per la prima volta dal 1983. Quando ritorna è un uomo diverso e comincia a creare attorno a sé un team di assistenti allenatori, tutti suoi ex giocatori, e di managers a cui lascia parte del lavoro. Il concetto delle Five Fingers viene esteso dalla squadra anche al coaching staff. Dopo una nuova doccia fredda nel ’99 con una sconfitta contro UConn, nel 2001 arriva il terzo titolo contro Arizona (82-72), coronamento di una stagione nella quale i Blue Devils vincono tutte le partire del Torneo per uno scarto pari o superiore a 10 punti. Coach K si guadagna un posto nella Basketball Hall of Fame. Vince il suo quarto titolo NCAA nel 2010 con una squadra operaia su cui lavora intensamente per un quadriennio e con cui mette a segno la vittoria thriller su Butler per 61-59. Il 13 febbraio del 2010 Krzyzewski festeggia la partita numero 1.000 sulla panchina di Duke. Fino ad arrivare al 2015, anno del quinto e – sino a qui – ultimo titolo per Coach K e i suoi ragazzi; anno che segna un ulteriore record per il coach: la vittoria numero 1.000 al Madison Square Garden contro Saint John’s. Vittorie che nel 2018 diventano 1.099, record che supera anche quello di Pat Summit.

Coach K coi suoi ragazzi campioni NCAA nel 2010

“Non sono un coach da NBA. Sono un allenatore di basket universitario. Mi piace aiutare i ragazzi a costruire dei ponti e a creare delle relazioni che dureranno per tutta la vita.”

Nel frattempo, nel 2005 gli viene offerta la panchina della nazionale americana. Il Team USA è in aperta crisi di risultati e di immagine, ed è proprio Krzyzewski a risollevarlo: con lui, gli Stati Uniti vincono due medaglie d’oro olimpiche (nel 2008 a Pechino e nel 2012 a Londra), due titoli mondiali nel 2010 e 2014 ed un Fiba Americas nel 2007. Coach K riesce nella difficile impresa di gestire le numerose stelle NBA: “Innanzitutto bisogna adattarsi a loro. Ho incontrato ciascun giocatore singolarmente e gli ho chiesto «cosa ti piace fare?». Poi ho chiesto loro di dirlo ai propri compagni. E LeBron. Bryant, Wade, Kidd, tutti lo hanno fatto. Alla fine abbiamo creato una lista di 15 standard: rispetto degli orari, non fare mai un cattivo allenamento, nessuna scusa, difesa… cose fondamentali, ma nessuna regola. Le regole le fa qualcun altro per te; gli standard sono degli obiettivi per te e per i tuoi compagni”. Filosofia che dà subito i suoi frutti, tanto che inizia a ricevere varie offerte dalla NBA. Prima Boston e poi Los Angeles bussano alla sua porta; Coach K vacilla di fronte alle offerte prestigiose e remunerative ma alla fine decide di restare fedele alla sua Duke. “I giocatori NBA che ho allenato in nazionale avevano già varcato molti ponti. I ragazzi del college devono ancora costruirli quei ponti. È questa l’aspetto più bello di essere un allenatore di una squadra di college: il tuo compito è aiutare quei ragazzi a superare quei ponti verso nuovi obiettivi. E se fai parte di questo processo, se riesci in questo, si creerà un legame con questi ragazzi che durerà per una vita intera. Per questo non mi sento un allenatore da NBA: è vero voglio vincere, ma voglio anche insegnare”.

Kobe Bryant e Coach K

“Non ho cambiato il mio modo di reclutare i giocatori. Quelle che sono cambiate sono le prospettive per gli atleti che ho reclutato.”

Coach K però per molti anni non ha vinto nulla e non è riuscito a vincere con squadre formate da top players. Vi dice niente la stagione 2018-2019? Nonostante la presenta di Zion Williamson, JR Barrett e Cam Reddish, la corsa dei Blue Devils si interrompe anzi tempo alle Elite Eight contro Kansas. Troppo talento da gestire? Piuttosto, troppi “one-and-done”. Se lo stile di Krzyzewski si basa infatti sul costruire relazioni durature con i suoi ragazzi, con gli “one-and-done” questo pilastro fondamentale viene meno. Questo non vuol dire che Coach K in futuro non ambirà più ai top players, ma sicuramente cambierà la gestione di questi con rispetto a quei giocatori che invece saranno sicuri di rimanere per tutti i quattro anni. Questo nuovo sistema si è già visto in parte nella formazione della squadra della stagione 2019-2020: lo stesso coach l’ha definita “old school” con un mix di nuovo e vecchio. Dei nuovi freshmen a cinque stelle, Vernon Carey Jr. e Cassius Stanley erano i sicuri “one-and-done”, mentre Wendell Moore Jr. e Matthew Hurt sono destinati a rimanere più a lungo . Prima dell’interruzione per l’emergenza sanitaria, il record dei Blue Devils era di 25-6 (15 -5 in conference), valevole per il 5° posto della ACC. Cosa sarebbe successo nel Torneo non ci è dato saperlo, ma quello che è sicuro è che il prossimo anno scadrà il contratto di Krzyzewski.

Zion Williamson e Mike Krzyzewski (Photo by Patrick Smith/Getty Images)

“Non mi piace parlare di eredità: è una parola che dà l’idea di qualcosa che è già finito”

Chi avrà l’onore e l’onere di prendere le redini dei Blue Devils quando Coach K appenderà la lavagnetta al chiodo? La lista dei papabili non può ignorare l’enorme coaching tree creato da Krzyzewski nel corso degli anni. Il favorito al momento sembrerebbe Jeff Capel. Non solo ha giocato a Duke, ma ha anche maturato una buona esperienza come allenatore: prima VCU e Oklahoma, poi sette anni nella sua Alma Mater in prima linea nel recruiting di numerosi “one-and-done”. Dopo il 2018 ha però deciso di lasciare Durham per accettare un posto come capo allenatore a Pittsburgh, squadra che nella stagione precedente aveva chiuso la stagione con zero vittorie. Una mossa molto azzardata che ha generato molte speculazioni sul fatto che forse non fosse la persona giusta per ambire alla panchina di Duke. Dal canto suo, Coach K lo ha sempre difeso: quando la scorsa stagione, i Cameron Crazies hanno intonato un canto assai irriverente nei confronti del coach di Pitt, Krzyzewski non ci ha pensato due volte a zittirli con toni assai bruschi: “Jeff è uno di noi” ha urlato. Che sia questo un vero e proprio passaggio di consegne?

A contendere il posto a Capel c’è Steve Wojciechowski. Anche lui ex giocatore dei Blu Devils, dopo aver lasciato lo staff di Duke sei anni fa, si è distinto sulla panchina di Marquette con 115 vittorie all’attivo nella Big East e due partecipazioni al Torneo NCAA. Con una conference winning percentage di .587, Wojciechowski potrebbe essere il degno successore di Coach K. C’è già chi parla di un nuovo fattore W.

Al terzo posto si piazza l’outsider Tommy Amaker. Ha fatto parte della prima squadra che Krzyzewski ha traghettato fino alle Final Four. Ha sulle spalle un’esperienza di 23 anni come allenatore, di cui 13 ad Harvard. C’è però un neo nel curriculum, ovvero l’esperienza a Michigan. Nei suoi sei anni alla guida dei Wolverines, non è mai riuscito a centrare il Torneo, record negativo che lo ha reso agli occhi di molti un coach mai pienamente realizzato.

In piena corsa sembra però esserci anche Bobby Hurley. Oltre ad aver fatto parte delle due squadre di Duke che hanno vinto il titolo NCAA sotto Coach K, Hurley si è costruito in poco tempo anche una promettente carriera come allenatore. Nelle sette stagioni trascorse tra Buffalo e Arizona State ha inanellato diverse vittorie (in totale 92) e la sua ascesa ha fatto sì che il suo nome finisse tra i possibili candidati alla guida dei Blue Devils. Tuttavia, il suo carattere non proprio docile potrebbe essere un deterrente per la sua nomina.

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