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Duke brutta e cinica, Texas Tech si arrende

Autore: Riccardo De Angelis
Data: 21 Dic, 2018

Texas Tech fa brutta Duke ma non basta. Lo scontro del Madison Square Garden ha messo in luce alcuni punti deboli dei Blue Devils, i quali però, battendo i Red Raiders per 69-58, hanno anche dimostrato una volta di più di essere una corazzata che, anche in mezzo a molte difficoltà, sa trovare un modo per imporre il proprio gioco.

Duke si può battere: è solo molto, ma molto, difficile

Gonzaga aveva già dimostrato che Duke non è imbattibile, Texas Tech è andata vicina al colpaccio (più di quanto il punteggio finale possa suggerire) ma, per battere i Blue Devils, occorrono organizzazione e intensità ai massimi livelli, senza pause sui 40 minuti. Roba per pochissimi, insomma.

La partita è stata dominata dalle difese (percentuali dal campo intorno al 38% per entrambe, 24 perse dei Red Raiders e 19 dei Blue Devils) e difficilmente poteva essere altrimenti, visto che si scontravano due delle tre migliori squadre per punti concessi per possesso. Texas Tech ha accarezzato a lungo il sogno di una vittoria storica, riuscendo spesso e volentieri a impedire a Duke ciò che sa fare meglio: giocare a ritmi alti. Sotto di un punto all’intervallo, i Blue Devils si sono ritrovati limitati alla miseria di 28 punti, quasi tutti raccolti in contropiede o da seconde opportunità. A difesa schierata, un disastro, come attestato dal loro 0/10 da tre (3/20 a fine serata).

Pur non potendo contare su Zion Williamson negli ultimi minuti, la squadra di Coach K ha però dimostrato di avere più energie e risorse in quanto a singoli interpreti rispetto ai texani, scappando via quasi indisturbata nel finale con un avversario ormai rimasto senza benzina.

Niente paura, c’è Tre Jones

In una partita in cui sia RJ Barrett (16 punti) che Cam Reddish (8 punti) hanno fatto una gran fatica (in due, 8/29 dal campo e 12 perse) ci hanno pensato altri a brillare. Zion Williamson ha commesso tre sfondamenti (l’ultimo quantomeno dubbio) e un totale di cinque falli che lo hanno estromesso dal match a 3’51” dalla fine. Non è stato dominante nel modo in cui ci ha abituato fin qui ma è riuscito comunque ad avere un impatto importante nei suoi 25 minuti sul parquet. 17 punti (4/9 al tiro, 9/10 ai liberi) e 13 rimbalzi (5a doppia-doppia in stagione) dando la carica nei momenti più difficili e facendo sentire la sua presenza in quante più aree del gioco possibili.

 

Jack White (8 punti, 5 rimbalzi, 2 assist in 32′) merita davvero un applauso per il suo secondo tempo (due triple seguite da alcune giocate difensive cruciali negli ultimi minuti) ma, se dobbiamo indicare il migliore in campo, nessuno può avere dubbi nell’individuarlo in Tre Jones. Non ha tirato meglio dei suoi compagni (6/15 dal campo, 1/3 ai liberi) ma il suo tabellino personale racconta bene una prestazione da leader vero e uomo ovunque: 13 punti, 5 rimbalzi, 5 assist, 6 recuperi (e una sola persa) senza quasi mai lasciare il parquet. La sua pressione difensiva è stata da manuale, una costante nel match e, a conti fatti, si è rivelata essere la chiave del successo di Duke. Non avrà mai lo status di stella, non ve lo propineranno mai in settemila replay a partita ma, senza Jones, la squadra di Durham non può esprimere il suo potenziale.

 

Una stella che nessuno può più ignorare

In un Garden ruggente e pieno di spettatori d’eccezione, da Trae Young a Jimmy Butler, il sophomore Jarrett Culver non poteva scegliere palcoscenico migliore per dimostrare a tutti quel che a Lubbock sanno già da tempo: il ragazzo è un campione vero a livello di college e, in un Draft 2019 quantomai incerto, ha numeri più che sufficienti per guadagnare una chiamata nella parte alta della lottery.

Unico giocatore in doppia cifra dei suoi, il prodotto locale dei texani ha sfoderato una prova da 24 punti (9/21 al tiro, 3/5 ai liberi), 6 rimbalzi e 4 assist in 34 minuti. Trascinatore assoluto dei Red Raiders sin dalla palla a due, ha dato fondo al suo repertorio offensivo e messo in crisi Duke piazzando canestri in modi diversi e un po’ da tutte le mattonelle. Nel finale, ha dovuto vestire panni un po’ da Kobe sull’isola nel disperato tentativo di tenere viva una partita ormai virtualmente sfuggita di mano. Non gli è andata bene, ma non lo si può biasimare.

 

Il battesimo del Moro

Davide Moretti aveva già vissuto partite di spessore simile (o perfino maggiore) rispetto a quella del Garden, ma questa aveva un sapore diverso, essendo la prima disputata da titolare. Sia lui che Matt Mooney (3 perse il primo, 6 per il secondo) hanno fatto una fatica bestiale nel fronteggiare quel satanasso di Jones, il che ha limitato molto il minutaggio dell’ex Treviso nella ripresa e, più in generale, il suo impatto offensivo. 3 punti in 24 minuti, 0/3 dal campo prendendo tiri non ideali: l’unico guizzo, una finta cui Javin DeLaurier abbocca in pieno, facendogli guadagnare tre liberi.

L’atletismo di Duke è stato indigesto  ma al capitolo “sacrificio” il Moro mette sempre la sua firma in qualche modo. Nonostante il gap fisico, ha complessivamente tenuto botta in difesa calandosi nei meccanismi di Texas Tech e ha anche strappato due bei sfondamenti, uno da Zion (rialzandosi come se nulla fosse!) e uno da Barrett: lampante il primo, più generoso il secondo.

Non la sua partita migliore, o meglio: non quella che, in pieno spirito di partigianeria, spereremmo di vedere da parte dell’italiano. Le occasioni per mettersi (di nuovo) in mostra però non mancheranno in una Big 12 sempre di livello altissimo.

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