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Woldetensae: “Virginia farà strada se…”

Tomas Woldetensae Virginia North Carolina
Autore: Riccardo De Angelis
Data: 28 Feb, 2020

13.2 punti di media nelle ultime 6 gare. 27 punti sganciati in casa di Louisville. Poi il canestro della vittoria sul parquet di North Carolina. Arrivato a Virginia dopo due anni di junior collegeTomas Woldetensae sta emergendo come uno degli italiani più interessanti fra i tanti che popolano la NCAA ed è esploso proprio adesso che la stagione si fa via via più calda.

Se gli Hoos stanno diventando sempre più solidi (8 vittorie nelle ultime 9 partite), una bella fetta del merito va al bolognese e al suo tiro mortifero (42.5% da tre con 8.1 tentativi a partita negli ultimi nove match giocati).

Ecco la nostra intervista col prodotto della BSL San Lazzaro.

Passare alla Division I comporta sempre un periodo di adattamento, specie quando si gioca in una high major e specie se quella high major si chiama Virginia. Fin qui è andata come te l’aspettavi?

Forse no. Mi aspettavo di avere sin da subito buone percentuali. Non mi aspettavo questo tipo d’inizio ma allo stesso tempo non mi aspettavo questo tipo di miglioramento. Va bene tutto, però 27 punti a Louisville non me li sarei mai sognati. La bomba a UNC, non mi sarei sognato neppure quella.

 

La difesa è il pilastro di Virginia. Come ti stai trovando nel sistema?

Mi sto trovando piuttosto bene. Ho deciso di venire qua per un motivo: per imparare, per migliorare e sfruttare questa opportunità e credo che stia andando abbastanza bene.

Nella gara con North Carolina sei passato dall’inferno (il fallo su Keeling) al paradiso (il canestro della vittoria) nel giro di secondi. Dopo la partita, hai avuto modo di analizzare a freddo quei momenti insieme ai coach?

No, non quell’esatto momento. Però dopo ogni partita, quando ci vediamo in palestra, facciamo del film. Lì facciamo uno spezzone dove riguardiamo la partita precedente e uno sulla partita a venire. Sì, dall’inferno al paradiso, però tutto ciò non sarebbe mai capitato senza i miei compagni: abbiamo analizzato le loro grandi giocate, le loro azioni difensive, etc.

 

In un modo o nell’altro, hai detto più volte che scegliere Virginia fosse una sfida che cercavi. In un certo senso, si potrebbe dire che questa grande sfida è composta da tante piccole sfide al quotidiano? Se sì, in questo momento, qual è la “mini sfida” principale per te sul piano individuale?

Quella di stare più uniti e compatti possibile in modo tale da raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti: arrivare alla March Madness ed essere una squadra temuta. Attualmente le mie piccole sfide sono le solite. La difesa resta comunque il fattore principale. La percentuale al tiro chiaramente anche quella penso che sia un fattore primario per far sì che io possa aiutare questa squadra a essere unita.

Hai avuto un inizio di stagione in sordina. Quanto peso attribuiresti all’infortunio al polso che avevi patito e quanto al doversi adattare a un contesto nuovo?

È dovuto ad entrambe. Sia l’aspetto psicologico dell’infortunio al polso della mano tiratrice, sia il fatto di essere un contesto nuovo e avere un po’ di timore, d’imbarazzo nell’evidenziare di fronte alla squadra le mie, diciamo, pessime doti difensive. Però se dovessi la colpa a qualcosa… è solo l’aspetto mentale, perché lo staff che abbiamo è uno dei migliori nel settore, quindi da quel punto di vista non c’era tanto da preoccuparsi. Era solo un fatto di concentrarsi e ricominciare tutto da capo un passo alla volta.

 

Eri un tiratore eccellente già al JUCO. Però nelle tue partite dell’anno scorso che abbiamo visto, ci è sembrato di vedere un’attività lontano dalla palla minore rispetto a quella che ti viene richiesta ora. Adesso è frequente vederti correre lungo la linea di fondo, fare magari una finta per disorientare il difensore e farti trovare pronto in ricezione. Per caso queste situazioni di uscita sono qualcosa sulle quali hai lavorato in maniera specifica?

No, non ho lavorato in maniera specifica sui giochi però ho sempre lavorato sin dal junior college a tirare in movimento, a muovermi, a correre, trovare spazi.

Com’è essere allenati da un tipo calmo come Tony Bennett?

Eh beh, ho sempre avuto allenatori che alzano la voce. Coach Bennett invece è una persona molto più calma, è consapevole del fatto che tutti noi siamo qui per un motivo, che è nostro dovere venire all’allenamento con della carica, preparati. Quindi non ha motivo di perdere tempo con persone che non lasciano intravedere la propria passione tanto quanto fa lui.

Ti ha spiazzato il suo modo di fare?

Sì inizialmente era un po’ destabilizzante soprattutto perché sono abituato a gente che urla, mentre lui è molto calmo, molto gentile. È un po’ spiazzante perché non sai cosa aspettarti. È un po’ terrorizzante, diciamo dai [ride].

“Quando vai in campo e sei il figlio di una madre che non conosce stanchezza, ti ricordi che devi andare avanti”. Questo è quanto hai detto qualche tempo fa al Richmond-Time Dispatch parlando di tua madre. Lei che tipo di esempio rappresenta per te?

Mia madre praticamente è allo stesso livello di Kobe Bryant: entrambi mi hanno dimostrato come la tenacia e la passione prevalgano su tutto. Perché lei in ogni attimo d’instabilità economica o robe varie, non l’ha mai fatto intravedere. Non ha mai lasciato spazio a tristezze. È sempre state forte. È venuta in Italia da sola, super giovane, senza conoscere la lingua, la cultura. Ha imparato tutto da sé. È riuscita a crescermi lavorando per tutta Bologna. Bisogna avere le palle e lei ha dimostrato che sei hai voglia di fare, tutto è possibile. Non esiste tristezza o povertà se tu non lasci loro spazio.

Hai due ex compagni della BSL San Lazzaro al college, Thomas Binelli e Gabriele Stefanini: ti ci sei sentito ultimamente?

Sì li sento ogni tanto. Con Gabry avremmo dovuto giocare l’uno contro l’altro, sarebbe stata una rimpatriata con amici e famigliari: sfortunatamente si è fatto male, però lo sento ancora, si sta riprendendo bene. Bino anche lui sta avendo i suoi spazi.

Parlando invece di compagni attuali, durante la partita con Boston College si è vista un’esultanza in panchina abbastanza particolare con Caffaro e gli altri. Com’è nata? C’è una storia dietro?

Non so se c’è o meno una storia dietro l’esultanza. Siamo un gruppo unito, ci divertiamo assieme, quindi ogni tanto ci sta che in panca, quando si vuole festeggiare, si fanno coreografie o robe varie. Ci divertiamo così.

 

La fan base di Virginia è ovviamente quella tipica di un’università così grande. Com’è cambiato il tuo rapporto col pubblico e con gli altri studenti da quando sei diventato un fattore in campo?

Sono sempre uno studente come gli altri, cioè non mi aspetto mai che qualcuno sappia il mio nome o altro, però ogni tanto capita che uno studente o dei tifosi che sono in giro per l’università ti salutano, si congratulano per la partita. Chiaramente non si può non apprezzare. C’è veramente un grande affetto dalla comunità che ci sprona a fare sempre di più.

Per chiudere, ti lancio una frase da completare: “Virginia farà strada se…”

Se… se… se Wolde continua a fare canestro [ride]. No, scherzo. Virginia farà strada se continua a giocare con passione, con della fotta.

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